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Sharing economy
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Cos’è la sharing economy?

Da tanti anni ormai la situazione economica in Italia e anche in Europa è assolutamente precaria, anche se è indubbio che un piccolo miglioramento negli ultimi tempi c è stato e i segnali positivi ci sono. Quando c è una crisi economica cosi pesante e cosi estesa, spesso per fortuna, ci sono dei soggetti che …

Opportunità di lavoro
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Quali settori garantiscono le migliori opportunità di lavoro per i giovani?

Nel nostro Paese le occasioni di lavoro per i ragazzi non mancano: basta ricercarle tra le professioni che richiedono figure specializzate, soprattutto nelle aree tecniche. Una ricerca condotta dalla fondazione Altagamma mette in evidenza come, nel corso dei prossimi anni, la domanda di profili specializzati crescerà sempre di più, con riferimento nello specifico agli ambiti dell’ospitalità, del design, della moda, del food e dell’automotive. L’eccellenza del Made in Italy è rappresentata, non a caso, dalle aree dei servizi specializzati e della manifattura avanzata.

Dove conviene cercare lavoro

Per quel che riguarda il settore dell’ospitalità, per esempio, nei prossimi anni ci sarà bisogno di oltre 33mila profili, tra i quali quelli degli esperti di ristorazione e degli addetti alla reception. Più di 18mila lavoratori saranno richiesti nel design, con l’esigenza di sfruttare le competenze di artigiani specializzati. Passando al settore del food, si parla di ben 49mila profili professionali ricercati: esperti di marketing e di comunicazione, ma anche guide turistiche specializzate in ambito enogastronomico, addetti all’accoglienza e tecnici della vinificazione. Nel mondo della moda, invece, tra gli oltre 46mila professionisti indispensabili nei prossimi anni spiccano i prototipisti, gli specialisti in maglieria e gli esperti di sartoria e pelletteria.

La situazione italiana

Il problema del nostro Paese è che ci sono troppi pochi laureati: secondo i numeri forniti dal Sole 24 Ore, nel corso del prossimo lustro entreranno appena 665mila laureati nel mondo del lavoro, un numero che è considerato non sufficiente. L’ideale, infatti, sarebbe arrivare a 800mila o – ancora meglio – a 900mila unità. Ovviamente, la predilezione è per le materie STEM, vale a dire le discipline tecniche e scientifiche come la matematica e l’ingegneria. Sembra un paradosso, quindi, ma in un’Italia in cui il tasso di disoccupazione è preoccupante ci sono tantissimi posti di lavoro scoperti. Facile intuirne le ragioni: un’offerta formativa che non è adeguata a ciò che il mercato richiede, e che proprio per questo motivo deve essere ripensata.

Il boom dell’automotive

Per gli analisti, uno degli ambiti nei quali la ricerca di collaboratori specializzati sarà più consistente è quello dell’automotive, un comparto che include tutte quelle imprese che si occupano della produzione e della vendita di mezzi di trasporto, di attrezzature e di macchinari. Nel prossimo quinquennio ci sarà bisogno di quasi 90mila professionisti, tra i quali manutentori, montatori, meccatronici e progettisti di materiali e prodotti.

Perché le aziende non trovano professionisti

Da qui al 2023 le aziende cercheranno circa 236mila profili: in 7 casi su 10 saranno indispensabili competenze di carattere professionale e tecnico. La ricerca sarà complicata: i ragazzi che scelgono gli istituti tecnici, per l’istruzione superiore, sono solo 3 su 10, e ancora minore è la fetta di coloro che optano per un istituto professionale, intorno al 15%. Ci sarebbero anche gli ITS, vale a dire gli Istituti di Istruzione Tecnica Superiore, che sono soluzioni alternative rispetto ai percorsi universitari a cui fare riferimento dopo il diploma: ma anche in questo caso i numeri sono poco confortanti, perché si balla attorno ai 13mila iscritti. In Germania e in Francia, i ragazzi che frequentano istituti simili sono molti di più: e forse è anche questo il motivo per il quale non riusciamo a restare attaccati alla locomotiva tedesca.

 

Centri per impiego
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Ristrutturare i centri per l’impiego è una priorità

centri per l’impiego nel nostro Paese sono un clamoroso flop: in attesa che si mettano all’opera i navigator destinati a migliorare il futuro professionale di coloro che percepiscono il reddito di cittadinanza, la situazione dell’occupazione in Italia non è certo delle più rosee. I dati relativi al 2018 testimoniano che tra coloro che lo scorso anno hanno trovato un impiego nel settore privato, appena 1 persona su 50 è passata attraverso i centri per l’impiego. Cifre che dimostrano un fallimento inequivocabile: solo 23mila persone hanno tratto beneficio dal ricorso a tali centri.

I centri per l’impiego servono davvero?

Viene spontaneo chiedersi, a questo punto, se i centri per l’impiego siano realmente utili per l’intermediazione tra la domanda di lavoro e l’offerta. Stando a ciò che si può leggere sulla relazione annuale della Banca d’Italia, la risposta a questo interrogativo è negativa. Tra chi è disoccupato da meno di un anno, appena il 26 per cento ha deciso di rivolgersi a un centro pubblico nel mese precedente rispetto all’intervista.

I danni del reddito di cittadinanza

Il reddito di cittadinanza, per gli analisti di Bankitalia, è destinato a produrre danni non indifferenti, soprattutto per la sua entità: un single in affitto può arrivare a ottenere 780 euro al mese, un introito che di certo non lo motiva a mettersi in cerca di un lavoro, magari retribuito poche decine di euro in più. Insomma, il reddito non farà altro che disincentivare i rapporti di lavoro poco remunerativi, a maggior ragione se precari: e ciò avverrà specialmente nel Mezzogiorno e tra i giovani, cioè nei segmenti che già al momento presentano modeste prospettive occupazionali. Da non sottovalutare, poi, il rischio che venga favorito il lavoro in nero: non ci sono garanzie che le sanzioni previste dalla legge potranno essere applicate in modo agevole.

Che cosa fanno i disoccupati nei centri per l’impiego

Un disoccupato che entra in un centro per l’impiego lo fa, nel 36 per cento dei casi, per controllare se vi siano delle offerte di lavoro a disposizione; in meno di 1 caso su 10, invece, ci si preoccupa dell’offerta formativa o si richiede una consulenza. Anche questa è una delle ragioni per le quali i centri denotano un’efficacia ai minimi termini. Con l’introduzione del reddito di cittadinanza non è detto che le cose cambino, anzi: per la Banca d’Italia, i centri avranno a che fare con una platea di utenti molto più numerosa, e la loro operatività risulterà compromessa. Anche perché la maggior parte delle persone sarà contraddistinta da un profilo di bassa occupabilità.

Le difficoltà per le imprese

In un contesto simile a trovarsi in crisi sono anche le imprese, che incontrano notevoli difficoltà nel reperire profili interessanti: le figure professionali più ricercate sono quelle manageriali e quelle tecniche, che ovviamente sono molto rare tra coloro che ricevono il reddito di cittadinanza. Sembra quasi un contentino, allora, l’incentivo alle aziende che viene fornito attraverso lo sgravio contributivo compreso tra le 5 e le 18 mensilità della somma del reddito. Per di più, per usufruire di tale agevolazione è indispensabile rispettare requisiti molto severi, prevedendo l’assunzione full time a tempo indeterminato.

Il reddito di inclusione e il reddito di cittadinanza

Nel 2018, il reddito di cittadinanza era stato previsto dal reddito di inclusione, garantito dal governo Gentiloni con l’obiettivo di combattere la povertà: a usufruirne sono state 1 milione e 300mila persone, per un totale di oltre 460mila nuclei familiari. L’importo medio, tuttavia, era più basso rispetto a quello del reddito di cittadinanza: poco meno di 300 euro al mese. Nel caso del reddito di cittadinanza, infatti, si parla di 520 euro di media, almeno in base a quanto si può dedurre dalle prime rilevazioni svolte dall’Inps.