Parliamoci chiaro: motivare il team non è uno di quegli obiettivi che ti segni sull’agenda e spunti alla fine della giornata. Non è un’attività da “fatto!” e via. È più come preparare una pizza fatta in casa: servono ingredienti freschi, tempo per far lievitare tutto e, soprattutto, passione. Senza quella, la pizza non lievita. E nemmeno le persone.
Capire cosa muove le persone (spoiler: non è sempre lo stipendio)
Sai cosa mi è successo qualche mese fa? Ho chiesto a un collega cosa lo facesse svegliare contento la mattina. Mi aspettavo di sentire “bonus”, “aumento”, “benefit”. E invece mi fa: “Sapere che sto imparando qualcosa di nuovo”. Boom. Ecco il punto. Per motivare il team, bisogna togliersi dalla testa l’idea che bastino i soldi. Funzionano? Certo, fino a un certo punto. Ma se non ascolti le persone, se non le conosci sul serio, le perdi per strada. E non te ne accorgi nemmeno.
Per me il trucco è semplice: chiacchierarci, anche quando non ce n’è bisogno. Anzi, soprattutto quando non ce n’è bisogno. È in quel momento che capisci cosa gli fa brillare gli occhi. E se sai cosa li accende, hai già fatto metà del lavoro per motivare il team.
Un ambiente di lavoro che non sia una gabbia di matti
Ora, c’è chi dice che l’ambiente di lavoro debba essere competitivo, stimolante, pieno di sfide. Io dico: ok, ma se trasformiamo l’ufficio in Hunger Games, poi non ci lamentiamo se si scannano alla macchinetta del caffè. Un clima sereno, fatto di persone che si rispettano e si danno una mano, è la vera benzina che fa andare avanti il motore.
Non sto dicendo che si debba per forza diventare migliori amici (anche se, quando succede, non è affatto male), ma se uno si sveglia già con l’ansia di vedere quella faccia antipatica del collega, non sarà mai produttivo. E nemmeno motivato. Il mio consiglio? Creare occasioni per farli parlare tra loro, magari anche senza parlare di lavoro. Un pranzo, una partita a padel, una serata pizza e birra. Fidati, funziona.
Se non crescono, si spengono (come le piante senza sole)
Ho sempre pensato che le persone in azienda siano un po’ come quelle piante che si vedono negli uffici super fighi: se le metti in un angolino buio, alla fine appassiscono. Dare la possibilità a qualcuno di imparare, crescere e mettersi in gioco è come spostare quella pianta alla luce. Torna verde, viva. Ecco perché credo sia fondamentale offrire corsi, formazione, nuove responsabilità. Non sempre i grandi cambiamenti, a volte basta anche poco: un nuovo progetto, una nuova sfida.
E quando vedi qualcuno che si appassiona a qualcosa, dagli spazio. Perché lì succede la magia. Non serve altro per motivare il team: vedere che l’azienda crede in loro, che c’è fiducia. E la fiducia chiama impegno.
I complimenti fanno bene, anche se qualcuno dice il contrario
In Italia abbiamo questo mito che i complimenti vadano dosati col contagocce. “Eh no, sennò si monta la testa”. Ma chi lo dice? Secondo me è una delle stupidaggini più grandi che ci trasciniamo dietro. Dire “bravo” quando qualcuno fa qualcosa di buono non costa niente e fa un bene dell’anima. L’ho visto succedere decine di volte: bastano due parole al momento giusto per far rifiorire una persona che magari era lì lì per mollare.
Il punto è che i riconoscimenti devono essere sinceri, non tanto per fare. Non servono premi, coppe, medaglie (anche se ogni tanto non guastano): basta che siano sentiti. E magari, ogni tanto, festeggiare qualcosa insieme. Che sia un traguardo importante o solo un “ce l’abbiamo fatta”, è sempre il momento giusto.
Libertà di scelta: il vero superpotere
Ti faccio una domanda: a te piace quando ti dicono passo-passo cosa devi fare? A me no, e scommetto nemmeno a te. Dare autonomia e responsabilità è il miglior modo per motivare il team, perché significa che ti fidi. E la fiducia è una roba potente.
Non è semplice, chiaro. Devi essere pronto ad accettare che ogni tanto qualcuno sbagli. Ma d’altronde, chi non sbaglia? E se qualcuno sbaglia oggi, domani fa meglio. L’importante è che sappiano di avere lo spazio per provare, senza sentirsi il fiato sul collo.
Quando il lavoro diventa un gioco (e non parlo solo di ping pong)
Negli ultimi tempi ho visto un sacco di aziende che si sono inventate la “gamification” per tenere alta la voglia di fare. E ti dirò, l’idea non è male. Premiare piccoli risultati, lanciare sfide interne, rendere alcune attività quasi un gioco: può sembrare una sciocchezza, ma il gioco attiva dinamiche diverse, stimola competizione sana, fa scattare quella molla che ci fa dire “questa la voglio vincere io”.
Non serve trasformare l’ufficio in un luna park, sia chiaro. Ma inserire qualche elemento di sfida e divertimento può davvero smuovere le acque. E aiuta anche chi tende a spegnersi nella routine. Perché, diciamocelo, a volte fare sempre le stesse cose è di una noia mortale.
Parlare, sempre. E ascoltare, soprattutto
Lo dico spesso: la comunicazione non è una mail di aggiornamento ogni venerdì pomeriggio. Comunicare vuol dire esserci, spiegare, raccontare, ascoltare. Se c’è un problema, affrontarlo insieme. Se c’è un’idea, ascoltarla senza mettere subito i bastoni tra le ruote.
Un team che si sente ascoltato si sente anche parte di qualcosa, e quando si è parte di qualcosa, si lotta tutti per lo stesso obiettivo. Non c’è niente di più forte. Ho visto più risultati grazie a una chiacchierata fatta bene che con decine di strategie super studiate.
Obiettivi chiari, mica castelli in aria
Te lo dico schietto: se il team non ha ben chiaro dove si sta andando, non solo non lo segue nessuno, ma ci si perde per strada. Non dico che bisogna essere sempre lì a elencare KPI e numeri (oddio, anche quelli servono eh!), ma se c’è un obiettivo chiaro e condiviso, il gruppo si compatta.
Il segreto? Fare in modo che ogni traguardo sembri raggiungibile, anche se ambizioso. E magari spezzarlo in passi più piccoli, così c’è sempre qualcosa da festeggiare. Motivare il team significa anche questo: dare un senso a quello che si fa ogni giorno.
Non siamo macchine: l’equilibrio è tutto
Ultimo, ma fondamentale: non dimentichiamoci che il team è fatto di persone, non di robot. Se non si rispettano i tempi di recupero, il diritto alla vita privata, prima o poi scoppiano. E non lo dico per sentito dire.
Credo che dare spazio alla vita fuori dall’ufficio renda le persone più serene e, di conseguenza, più produttive. Permettere orari flessibili, lavoro da remoto quando serve, non invadere il loro tempo libero: piccoli gesti che fanno una grande differenza.
Ecco, motivare il team è questo. Non un compito che si spunta da una lista, ma una relazione che si costruisce giorno dopo giorno, con pazienza, attenzione e rispetto. E con un pizzico di cuore, che non guasta mai.