Specialmente in questo periodo così nero della nostra storia recente, in cui l’emergenza sanitaria causata dal covid 19, non fa altro che acuire le problematiche economiche della crisi del commercio che, ricordiamolo, era gia’ evidente da prima della pandemia, capita sempre più frequentemente di imbattersi in articoli che raccontano vicende di difficoltà e a volte di disperazione di tanti imprenditori che non ce la fanno più ad andare avanti.
Fare impresa in Italia negli ultimi anni è diventata un’attività da masochisti visionari, da avventurieri, da nostalgici dei “bei tempi andati” nei quali l’importante era avere delle buone idee e tanta voglia di crescere lavorando per fare profitto ed affermarsi nel mondo del commercio. Noi Italiani primeggiavamo nello spirito imprenditoriale, siamo sempre stati commercianti nati e la Storia con la S maiuscola è piena di esempi di persone che sono riuscite a vendere con successo i propri prodotti in tutto il mondo.
Oggi il mondo del commercio è cambiato, ce ne siamo accorti tutti, e conosciamo benissimo le dinamiche che hanno portato a questa situazione negativa: l’avvento della globalizzazione selvaggia che ha finito per penalizzare i prodotti nostrani, la crisi finanziaria del primo decennio dei duemila, il sistema di tassazione “medievale”imposto da una parte delle Nazioni avanzate, e non per ultima l’inadeguatezza di una larga parte della società industriale italiana che non è stata capace di guardare oltre il proprio naso e troppo spesso si è dimostrata troppo arrendevole con il mercato e troppo rapace con i propri collaboratori e retalilers.
Leggiamo quasi tutti i giorni articoli su negozi che chiudono in tutte le città italiane. La crisi non risparmia nessuno, anche se quello dell’abbigliamento è un settore che sta soffrendo da molto tempo quasi in silenzio. Chiusure di negozi a Roma, a Milano, a Torino, a Firenze, a Napoli, e in tutte la provincie del nostro sofferente Bel Paese di cui la stampa nazionale si occupa solo marginalmente. Vicende di cui sul momento scrivono quasi tutti i giornali, ma che rapidamente finiscono nel dimenticatoio. Storie che tuttavia trovano particolare risalto, ovviamente, in una manciata di siti internet, a volte legati ad associazioni di categoria che cercano di tutelare i diritti dei lavoratori o a gruppi di ex operatori del settore che decidono di unirsi, farsi forza a vicenda e raccontare la propria esperienza al mondo intero. E’ il caso del blog dell’Unione dei Commercianti Bistrati, scritto e frequentato quasi esclusivamente da ex commercianti del settore abbigliamento che, purtroppo, ben conoscono quel tipo di dinamiche che possono portare al fallimento di un’attività commerciale del settore abbigliamento,
Si tratta di blog “piccolo” ma ben ordinato, in cui tanti commercianti, rovinati dalla congiuntura economica e da altro, scrivono e condividono le proprie storie personali cariche di dolore, ma anche di speranza di ricominciare (in fondo abbiamo sempre a che fare con imprenditori italiani con il commercio nel sangue) che da tempo segnalano le proprie difficoltà e mettono in evidenza i limiti del commercio in franchising con le regole odierne. Non piangersi addosso, confrontarsi in maniera costruttiva e tentare di modificare il sistema di vendita è una cosa estremamente positiva e dei blog come questo ( ve ne sono anche altri in rete), che non si limitano a sparare a zero sulla società, ma propongono alternative possono divenire un punto di ri-partenza per tanti operosi imprenditori che vogliono rimettersi in gioco ed evitare di commettere errori che altri hanno già sperimentato.