C’è una cosa che ho sempre pensato: prepararsi a un colloquio di lavoro è un po’ come andare a un appuntamento al buio. Ti metti la camicia buona, ti aggiusti i capelli davanti allo specchio, provi a immaginare come andrà… e poi, zac, ti arriva la domanda che non ti aspettavi. E lì o vacilli o giochi la carta giusta. Ecco perché credo che prepararsi, ma sul serio eh, sia l’arma migliore che hai in tasca.
Raccontare chi sei senza sembrare un registratore
Partiamo dal classico: “Mi parli di lei”. Lo fanno sempre, è come la stretta di mano. Il trucco? Non raccontare la versione noiosa di te stesso. Non è un esame di storia, non stai ripassando la lista della spesa. Racconta qualcosa che abbia un filo logico, sì, ma che faccia capire che hai un perché. Io, ad esempio, dico sempre che ho iniziato a lavorare per caso in un ambito che all’inizio non capivo, ma che ho imparato ad amare. È la verità. E le verità raccontate bene funzionano.
L’importante è far passare il messaggio che non sei lì per caso, che ogni scelta, ogni esperienza, ogni scivolone pure, ti ha portato a quel momento. E no, non serve essere degli eroi. Essere onesti, e magari simpatici, è già un bel passo avanti.
Pregi e difetti: croce e delizia di ogni colloquio
Ah, questa è la parte che fa sudare freddo. Quando ti chiedono i tuoi punti di forza e di debolezza, la tentazione è quella di tirare fuori la risposta da manuale. “Sono troppo perfezionista”… ti prego, no! Non sei un robot. Sei una persona con pregi e difetti veri.
Io, ad esempio, non sono mai stato un drago con le scadenze strette. Lo ammetto. Ma ho imparato a farmi delle tabelle di marcia che mi tengano in riga. E questo lo racconto, perché mostra che i difetti si possono domare, anche se ogni tanto scappano ancora di casa. I pregi? Quelli che servono davvero per il lavoro che vuoi fare. Non stare a dire che sei empatico se il ruolo richiede freddezza e numeri. Piuttosto, mostra che sai ascoltare, che capisci al volo le esigenze di un cliente. Serve concretezza, non poesie.
Perché proprio loro? Una domanda che pesa più di quanto sembra
“Perché vuole lavorare qui?” è una di quelle domande che ti mettono all’angolo. Non pensare di cavartela dicendo “perché siete una grande azienda”. No, dai. Fai uno sforzo in più.
Io quando mi preparo a un colloquio di lavoro, faccio una cosa: mi leggo il loro sito, le ultime notizie che li riguardano, magari le loro pagine social. Trovo un dettaglio che mi colpisce e lo uso per costruire la mia risposta. Tipo: “Mi piace il vostro approccio all’innovazione, ho visto che avete lanciato un progetto su…”. Così mostri che non sei lì per caso e che ti sei preso la briga di conoscerli un po’ prima di bussare alla porta.
Alla fine, funziona come quando devi fare colpo su qualcuno: se gli mostri che lo hai ascoltato e capito, è già mezza vittoria.
Racconta le difficoltà, ma con stile
Non so te, ma a me la domanda “Come gestisci lo stress?” all’inizio sembrava una trappola. Tipo: se rispondo “non mi stresso mai”, rischio di sembrare un alieno. Se dico “vado in crisi”, è finita. La verità, come sempre, sta nel mezzo.
Una volta ho raccontato di quando, durante una consegna urgente, il pc mi ha piantato in asso. Panico? Certo. Ma mi sono fermato, ho respirato (giuro), e ho trovato un modo per rimettere insieme i pezzi. Questo è quello che vogliono sapere: che non scappi al primo problema, ma che te la giochi fino alla fine, anche quando il vento gira storto.
Fai domande che contano, non tanto per fare
Quando arrivi alla fine, ti dicono: “Ha domande?”. E lì molti scivolano. Perché dire “No, tutto chiaro” è un’occasione persa. Io di solito chiedo qualcosa che mi aiuti a capire se quel posto fa per me. Tipo: “Come si lavora qui in squadra?” oppure “Cosa cercate in una persona che entra nel team?”.
Sono domande semplici, ma ti aprono mondi. E mostrano che non sei lì solo per il posto fisso, ma che ti interessa sapere dove stai andando a mettere i piedi.
Chiudo con un consiglio che vale sempre
Prepararsi a un colloquio di lavoro non è questione di memoria o di avere la battuta pronta. È capire chi sei, cosa puoi offrire e dove vuoi andare. Il resto viene da sé. E ricordati: è un dialogo, non un interrogatorio. Loro vogliono conoscerti, non incastrarti.
Io, ogni volta che esco da un colloquio, penso sempre: “Comunque è stata un’esperienza”. E in fondo, ogni colloquio è un allenamento per il prossimo, anche se magari quello giusto è proprio quello che hai appena fatto.